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Le margherite nel prato dietro l’asilo.

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Mi piacerebbe dire che nella mia famiglia esercitiamo questa nobile professione da generazioni, per rispondere alla tua domanda, come nasce un social media manager. 

La realtà è che appena nata, come succede ad ogni prodotto innovativo, c’è stato un problema di naming. Dovevo chiamarmi Federico, mia madre voleva Federico. Mio padre le aveva promesso un figlio. L’idea che il nascituro potesse essere femmina non era stata presa in considerazione. La mia nascita fu uno schiaffo. Qualcuno doveva pagare, per non dimenticare. Mio padre era stato un bambino ribelle, cresciuto selvatico in una casa tra i campi, sul limitare del bosco. Non faceva che combinare guai e scappare finché non veniva riacciuffato da sua nonna che lo riempiva di ceffoni. Questa mia bisnonna, donna severa, d’antico stampo, si chiamava Carolina. Mi chiamarono Carolina. 

Ecco come nasce un social media manager.

Poi mia madre restò di nuovo incinta. Mi diceva: presto avrai un fratellino. Tutti aspettavamo la nascita di Federico. E invece nacque mia sorella. Altro problema. Fin da piccola un’indole irrequieta, come mio padre. Io invece ero una brava bambina, tranquilla, ubbidiente. Andavo all’asilo dalle suore, non davo problemi, non facevo capricci, non combinavo guai. Ma quel giorno chissà come, chissà perché, ero sfuggita al controllo e presa da un mio incanto mi ero messa a raccogliere le margherite nel prato dietro l’asilo. Inconsciamente, stavo facendo la mia prima azione da social media manager. La reazione della suora fu terrificante. 

A questo punto dovrei raccontare il mio percorso, le scelte decisive, gli anni bellissimi del Liceo Artistico, il diploma in grafica pubblicitaria, poi il Politecnico a Milano, la laurea in design industriale, il master in digital strategy, il tirocinio e i tre anni nella grande agenzia con grandi clienti internazionali, facendomi le ossa come social media manager fino alla decisione di licenziarmi, in piena pandemia, e lasciare Milano per venire a lavorare in MULTI. 

La verità è che non so mai se sto facendo la cosa giusta, l’unica cosa certa sono i dubbi, le paure e l’eterna lotta della forza di volontà con la realtà e con i sensi di colpa sempre in agguato insieme ai desideri repressi e ai problemi irrisolti, che continuano ad abbaiare.

Mi riferisco al nostro cane, un merlino. Doveva essere, dopo molti anni, la soluzione definitiva del nostro problema familiare. Ma naturalmente chiunque entri in casa nostra vuole sapere 

perché l’abbiamo chiamato Federico.

 

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